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“Ecologie del Margine”
How we see the rural is how we want to relate to it

Wapke Feenstra da Myvillages – co-fondatrice Rural School of Economics

Zvizzchi 2013
Zvizzchi 2013
PANTRY HKW - Foto Sebastian Bolesch
PANTRY HKW - Foto J.Loch
Moving Landscapes 2019
FORMERFARMLAND 2008
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Vent’anni fa, ha deciso di lavorare con l’arte in ambito rurale, piuttosto che urbano. È stata una decisione importante per me, che sono cresciuta “rurale”, quindi in campagna. Mio padre aveva una fattoria e mia madre ha lavorato la terra sin da piccola. La cultura rurale non è mai stata concepita come cultura “alta”, ma per me è fondamentale. Dopo gli anni Novanta e l’avvento della globalizzazione, ho ritenuto che fosse giunto il momento che la cultura rurale entrasse a fare parte della arte e della cultura contemporanea. 

Un concetto centrale è quello del “vedere”, e ci tengo a sottolinearlo perché il lavoro svolto da Myvillages è apprezzato e ammirato soprattutto per la sua componente di partecipazione sociale. Credo però che l’azione del vedere sia sottovalutata: vedere significa dare valore, connettere, ed è qualcosa che fa parte dell’arte contemporanea. Da questa convinzione nasce la frase che dà il titolo al mio intervento, How we see the rural is how we want to relate to it [Come vediamo il territorio rurale è come vogliamo relazionarci ad esso], che si trova stampata anche sui distributori automatici che abbiamo portato a Documenta a Kassel, e sul nostro sito web. Questa frase è soprattutto il frutto degli studi di paesaggio che ho condotto insieme a mia sorella, Pietrse Feenstra, e che sono poi confluiti in un libro. In esso emerge l’importanza dell’attenzione allo sguardo sul territorio rurale, che deve essere in qualche modo risanato, corretto: soprattutto nell’arte è nostro compito riflettere sull’immaginario dell’ambiente rurale per poterci connettere tra di noi e con il non-umano. 

Dal 2003 Myvillages ha messo in discussione la cultura urbana odierna e le regole della produzione culturale contemporanea lavorando dal basso verso l’altro, entrando e uscendo da un sistema dell’arte contemporanea sempre più orientato verso l’universo urbano. Da quasi vent’anni all’interno di Myvillages, insieme alle co-fondatrici Antje Schiffers and Kathrin Böhm e collettivi connessi, abbiamo messo in contatto comunità e individui, adottando un approccio non-nazionale e trans-locale: il Rurale. Il rurale è una mentalità che permea tutte le nostre attività. È un modo di vivere. Naturalmente può essere anche un luogo, ma “rurale” è anche immigrazione verso altri luoghi. È qualcosa che porti con te: io sono stata una migrante, ho lasciato la campagna per la città, ma porterò per sempre con me il fatto di essere nata e cresciuta in una dimensione rurale. 

L’apprendimento rurale è importante, e per questo scopo abbiamo ideato e creato una nuova infrastruttura. A riguardo dal 2019 ho scritto testi, tra cui dei dialoghi, che ritengo la forma più adatta per attuare e favorire lo scambio di idee e conoscenza, con una particolare attenzione all’apprendimento intergenerazionale e alle differenze culturali. Fin dall’inizio, Myvillages ha anche una forte motivazione femminista, perché la politica fa parte della nostra vita di ogni giorno e viceversa.  Myvillages nasce grazie a donne libere. Oggi sempre più persone di qualsiasi genere si avvicinano al gruppo, ma la maggior parte sono giovani artiste attratte dalla sua vena femminista. È importante che la gente conosca la ricerca e il lavoro che negli anni abbiamo svolto con villaggi, contadini, artisti e istituzioni artistiche. È fondamentale che il rurale diventi parte del sistema dell’arte contemporanea istituzionale. Abbiamo collaborato, tra le altre cose, con la Biennale di Istanbul, la Whitechapel Gallery di Londra. Abbiamo realizzato un libro su come sintonizzare sviluppo e immaginazione – commissionato dalla Haus der Kulturen der Welt di Berlino – e io faccio parte dell’ASCA – Rural Imagination di Amsterdam. Dal 2020, abbiamo ancora inaugurato una piattaforma dedicata all’apprendimento: www.ruralschoolofeconomics.info

Un altro traguardo molto importante è stata la pubblicazione del libro “The Rural”, nella serie DoCA (MIT-Press), a cui ha preso parte tra gli altri anche Marco Scotini. Nell’introduzione al volume abbiamo voluto sottolineare che si tratta di una ricerca svolta da un punto di vista occidentale. Questo tema torna anche nel progetto portato a Documenta 15, dove lavoriamo a livello locale mentre mettiamo in discussione le correnti sotterranee rurali di Kassel e la possibilità di diventare persino più globali.

 L’intensità dell’oggettivazione del rurale è allarmante. La transizione da un’economia agricola e mineraria a una di servizi non più basata sulla terra ha cambiato la nostra visione del paesaggio.

Nella filosofia del paesaggio, l’oggettivazione della terra è un punto caldo e fondamentale, che dobbiamo recuperare per riattivare una discussione attorno ad esso. Come guardiamo al rurale è come vogliamo rapportarci ad esso, questo è un punto su cui torno perché assolutamente fondamentale. 

  Oggi ciò che è rurale viene più comunemente consumato che vissuto; questo significa che dobbiamo considerare molto attentamente le modalità di lettura del rurale a partire dal basso verso l’alto.

 Essere lì – ma dove siamo? Scava dove ti trovi! Esplorare e allungare lo spazio per poterlo condividere – connettersi e agire.

 Le dinamiche trans-locali – imparare e scambiare idee – dislocazioni, confronti, sovrapposizioni, differenze.

Sono stata a Friesland, nei terreni agricoli di famiglia, con mio padre per scavare l’argilla. Quando è morto, ho iniziato a declinare questo lavoro a livello artistico per attivare delle conversazioni con i contadini. Nel 2007 questo progetto mi ha portato in giro per il mondo per lavorare con gli agricoltori. A ognuno di essi ho chiesto di effettuare un campionamento del loro suolo insieme a me. Non mi sono fermata qui, ma ho organizzato eventi con artisti e di gruppo, perché parlare di paesaggio significa parlare di qualcosa di molto famigliare all’arte. Andando sul materiale e pratico, si può attivare uno scambio di conoscenze con gli abitanti e le persone che vivono e lavorano la terra a livello locale. Ho lavorato, ad esempio, con una fondazione per il territorio in Thailandia e ho avuto l’opportunità di parlare con agricoltori locali. Perché solo così le cose possono prendere vita davvero. 

Un’altra esperienza incredibile è il progetto che Myvillages ha realizzato con Haus der Kulturen der Welt di Berlino, ormai dieci anni fa, e che è un esempio di come questo gruppo voglia creare degli spazi condivisi che favoriscano lo scambio di conoscenza. Haus der Kulturen der Welt ci ha chiesto di riflettere sulla sostenibilità e sulla possibilità di un’agricoltura berlinese più ampia. Abbiamo allora occupato il ristorante e il bar del museo per un festival e abbiamo risieduto lì un anno, per raccogliere cibi e bevande di produzione locale. L’atto del consumo è diventato così un momento per conoscere una nuova realtà rurale e locale. Invece di rispondere “No, questo o quello non lo abbiamo”, abbiamo imparato a proporre un’alternativa locale. “Non c’è il caffè, ma c’è questa bevanda alla menta prodotta a Berlino”.  E anche in mostra, avevamo allestito una vera e propria dispensa che veniva effettivamente usata dal personale della cucina. Abbiamo finito tutto. Sul tetto del museo, invece, avevamo allestito una sorta di piccola casa estiva, dove i visitatori potevano conoscere di persona gli oltre ottanta produttori coinvolti del progetto. E in questo torna uno dei nodi centrali della nostra ricerca, riunire persone diverse per ottenere una conoscenza trans-locale. 

Un altro modo per lavorare a livello trans-locale è andare nei villaggi e coinvolgere le persone che vi abitano. Abbiamo lavorato sulla fermentazione, ad esempio, in un piccolo villaggio tedesco con donne che conoscono il processo. Oppure in alcuni villaggi russi abbiamo creato degli orti scolastici per favorire lo scambio intergenerazionale tra i giovani e gli anziani di un’area. Nella campagna russa ogni villaggio ha tradizioni completamente diverse da un altro, e si tratta di zone dove la migrazione di persone è intensa. Abbiamo quindi deciso di realizzare un opuscolo con le regole per coltivare i cavoli e ricette raccolte per realizzare il crostino acido. Non esiste un solo modo per cucinare qualcosa, ma ne esistono a migliaia e variano da villaggio a villaggio. Questo è quello che volevamo evidenziare con questo opuscolo. 

Realizzare dei piccoli souvenir in laboratori locali è stato un altro modo per favorire l’apprendimento trans-locale, con una particolare attenzione alla storia e ai problemi di un luogo. In un paese tedesco, per esempio, i cittadini erano terrorizzati perché un lupo era stato avvistato in giro più volte. Qui ho realizzato una candela in un laboratorio locale che ha l’aspetto di Giano, il dio romano del dilemma, e l’abbiamo chiamata Giano, la candela-lupo. Ovviamente non lavoriamo mai con un gruppo fisso, ma le persone cambiano costantemente di luogo in luogo, di giorno in giorno. In questo modo rompiamo le strutture sociali di un villaggio per iniziare una discussione sull’identità. Non è sempre facile e immediato come processo. In Cina, ad esempio, sono andata per le strade a mostrare ai passanti alcuni souvenir realizzati in laboratori precedentemente perché la gente non si lasciava coinvolgere facilmente. Bisogna sapere essere flessibili, bisogna andare dalle persone. Potrei fare centinaia di esempi a riguardo, come quando abbiamo lavorato con il Times Museum realizzando dei prodotti locali con immigrati di recente dalla campagna alla città che avevano ancora un fortissimo legame con la sfera rurale. 

Il nostro è un approccio multifocale e di co-creazione, e vale tanto per gli oggetti quanto per le mostre che abbiamo organizzato, in cui cerchiamo sempre di mostrare le diverse anime dei villaggi con cui lavoriamo. È quello che abbiamo fatto alla Whitechapel Gallery di Londra, ad esempio. Inoltre, ricicliamo sempre i materiali e li riutilizziamo in luoghi diversi, oppure stiamo attenti a usare risorse locali che vengono dall’interno del museo stesso. 

Quindici anni fa ho iniziato anche a lavorare en plein air. Nulla ha più senso che sedersi nella natura per guardare ed entrare in connessione con ciò che ci circonda senza fretta. Il primo disegno che ho realizzato en plein air è una veduta di un paesaggio in Belgio, dove una zona fortemente pianeggiante ha iniziato a mutare a causa dei veloci cambiamenti climatici, e gli abitanti hanno dovuto affrontare la minaccia reale di poter essere sommersi dall’acqua. Per un anno abbiamo realizzato dei disegni aerei di questa porzione di paesaggio, e alla fine abbiamo deciso di farne un libro. Un altro progetto è quello portato avanti nella zona a sud di Rotterdam, un’ex area rurale, dove abbiamo lavorato con la conoscenza dei migranti e con ciò che le persone aveva raccolto nelle loro case. Le correnti sotterranee rurali fanno parte delle città, le trovi in ex terreni agricoli, in oggetti dalle terre d’origine o orti, nel cibo. Un’importante corrente sotterranea è la terra – così mi piace molto lavorare con la geologia e con il modo in cui viene restituita a livello grafico. Ho fatto ad esempio un disegno geologico di un vulcano in Giappone, e ho realizzato un’animazione geologica di Kassel che ora è in mostra a Documenta 15.

Sono sempre curiosa di sapere quanto è vecchio il suolo del luogo in cui sto lavorando. Ad esempio, il suolo sotto le sedi principali di Documenta a  Kassel ha 245 – 260 milioni di anni. Mi piace conoscere l’età del suolo di un’area perché aiuta a mettere in prospettiva il nostro tempo, a capire che è solo una parte molto ridotta della storia. 

La cultura rurale non è una questione emotiva, ma riguarda due processi fondamentali di autoconservazione e il fatto che i sistemi sociali si degradano quando tali processi – l’auto descrizione collettiva e la gestione delle proprie risorse – vengono trascurati.

Per Myvillages è molto importante che le persone che vivono in piccoli paesi o in aree remote abbiano comunque accesso alla cultura e al lavoro artistico. Poiché l’immaginario rurale non viene definito dai consumatori o dallo sguardo urbano, ma dalle persone che ci vivono, ed è importante che esse siano in dialogo tra di loro. Oggi non è così, per questo è fondamentale attivare dei processi nell’arte che lo rendano possibile. 

Un altro concetto che ci sta molto a cuore è quello dell’ampliamento dello spazio. Non per creare uno spazio alternativo, ma per permettere che cultura urbana e rurale possano incontrarsi e convivere. Può essere un processo potenzialmente doloroso, perché la possibilità di superare i limiti è reale. È fondamentale mantenere un’alterità anche nella cultura rurale, altrimenti questa scomparirebbe, ma deve anche esistere una sovrapposizione tra urbano e rurale in cui questi due mondi si possano incontrare. 

Nella comunanza possiamo allungare lo spazio e condividere l’accesso alle risorse. Andiamo attivamente verso l’altro e in questo cambiamo. Dobbiamo accettare la possibilità che questo processo possa rimodellare la cultura o danneggiare le situazioni famigliari che conosciamo. Il desiderio di uno spazio allargato può cambiare le dinamiche tra centro e periferia. Non c’è idealmente una gerarchia nella cultura rurale e urbana – solo interdipendenza.

La distinzione tra centro e periferia ha portato alla convinzione che esista una cultura centrale e alta, e una cultura bassa, e questo è stato l’inizio della fine. Con il mio lavoro, individuale e lavorando insieme a nella cornice di Myvillages, ho iniziato un percorso di ripensamento che si sta ampliando e continuerà a farlo nel corso degli anni. 

Traduzione dall’inglese di Michela Ceruti

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