Pratiche artistiche agro ecologiche e strategie creative di rivitalizzazione rurale e promozione della biodiversità
Antonella Marino
Direzione artistica e coordinamento
Marco Scotini
Curatore
Comitato scientifico: Ravi Agarwal (artista e curatore, Mumbai); Zheng Bo (artista, Cina); Wapke Feenstra (co-fondatrice di Myvillages, Olanda); Fernando Garcia Dory (fondatore collettivo Inland, Spagna, Vito Labarile (Collezionista, Bari); Gediminas Urbonas (direttore MIT program in Art, Culture, Technology, Boston); Tiziana Villani (filosofa, Università La Sapienza di Roma); Kathryn Weir (direttrice del Museo Madre di Napoli)
Produzione e segreteria organizzativa: Ramdom
Comunicazione e Web Editor: Salgemma (Roberta Mansueto e Rosita Ronzini)
Coordinamento attività didattiche: Maria Vinella
Graphic design: Giulia Bellipario
Dobbiamo ricostruire la terra come pianeta ecologicamente sano e conservarla tale per le generazioni future (Joseph Beuys, Azione terza via, 1978)
È dedicata a Joseph Beuys la prima immagine di copertina di questa sezione, rivolta ai temi più innovativi che vanno emergendo a livello internazionale sui rapporti tra arte, agricoltura, biodiversità, ecosistemi. La foto è stata scattata nel giugno del 1978 dal fotografo Gerd Ludwig durante un viaggio con l’artista nel Basso Reno, sua regione d’origine, luogo del cuore e delle sue radici. Gli interventi sull’agricoltura biologica e sulla biodiversità, avviati da Beuys dagli anni ‘70, appaiono infatti oggi come anticipazioni di una diversa sensibilità “ecologica”, interessata a forme di nuova ruralizzazione dell’urbano e del mondo.
Le energie sprigionate dalle relazioni tra uomo, vita animale e vegetale, e la consapevolezza delle profonde interconnessioni che legano le specie viventi e l’intero pianeta, sono il campo comune della pionieristica idea di Beuys di arte come “forza rivoluzionaria”, capace di trasformare l’ordine sociale. Da questa concezione di arte vissuta non più come pratica specialistica, autonoma e separata, bensì come “scienza della libertà”, si sono sviluppate negli ultimi anni molte pratiche artistiche. Sperimentano modelli economici e sociali basati sull’autodeterminazione, la sostenibilità ambientale e il rispetto della biodiversità, intesa come salvaguardia degli ecosistemi locali e globali. Per esempio, le ricerche del gruppo indiano Uramili, a cui si riferisce la seconda immagine.
Da queste premesse muove la messa a regime di un Centro sperimentale d’arte contemporanea focalizzato sulla comparazione di modelli di auto- sostenibilità agricola e ambientale in differenti contesti geopolitici del mondo, in interazione costante con il territorio dell’Alta Murgia.
La prima fase delle attività nell’estate/autunno 2022, sarà inaugurata con un Simposio internazionale: importante momento conoscitivo di confronto sulle tematiche agro ecologiche del progetto e occasione per avviare una serie di interventi artistici collegati con la realtà paesaggistica e produttiva dell’azienda. Nella seconda fase, dalla primavera/estate del 2023, sarà aperta la nuova struttura architettonica di DONNAPAOLA ARTS FARM e s’inizierà a sperimentare la Palestra agricola, programma formativo impostato su moduli residenziali che coinvolgono artisti di chiara fama e giovani artisti. Durante i periodi di permanenza sul posto, verranno attivati processi di ricerca. Esposizioni finali ne lasceranno tracce permanenti nell’area vasta della tenuta Donnapaola.
in evidenza
interventi artistici
WORKSHOPS E RESIDENZE
SPECIAL PROJECTS E PUBLIC PROGRAM
Memorie, narrazioni, canzoni, rituali, tradizioni, paesaggi, speranze di futuro della cultura rurale dell’Alta Murgia.
Coordinatrice scientifica: prof. Laura Marchetti
Redazione: Angelo De Leonardis, Gilda Marano, Pasquale Marchetti
Un uomo, un cavallo, un calesse che è fermo in un paesaggio surreale, il paesaggio della Murgia , sconfinato, a tratti desolato, sempre di una bellezza struggente, come in alcuni versi di Tommaso Fiore . La foto è tratta da Un medico in campagna, un film di Luigi Di Gianni, collaboratore di Ernesto De Martino, interamente girato tra Gravina Cassano e Altamura, in un’ambientazione insolita, ma perfettamente aderente all’atmosfera visionaria della narrazione. Che racconta di una telefonata nella notte, e di un medico che va al capezzale di uno strano giovane che non vuole essere guarito. Proprio come il Sud, proprio come questa Terra Matrigna il cui seno di roccia e di pietra sembra non voler guarire, perchè piegato da conquistatori e da briganti e gravido dell’abbandono di tanti figli, di secoli di migrazioni, di esili e quasi impossibili ritorni.
Questa Terra Matrigna è però anche nostra Madre, fruttifera di olivi e di fichi, di pascoli e armenti, di orchidee selvatiche e papaveri colorati. Il viaggiatore che la ritrova può guarire ed essere felice. Per secoli i “cafoni” l’hanno maledetta e amata, di giorno sudando per il sole cocente, la sera, nell’aia, giocando con le lucciole, fra gli odori della salsa e della vendemmia. La tavola magari era vuota, il lupo vero era alla porta e quel mantello nero, quello scialle nero, testimoniavano il dolore, la povertà e la fatica. Ma da quelle zolle, da quelle pietre, da quei boschi, da quegli anfratti, da quelle caverne che avevano ospitato straordinarie civiltà, spirava una magia che si diffondeva nelle masserie, negli jazzi, nei paesi, fino ad arrivare a quel Castello fatato, posto lì nel nulla, dove uno straordinario Imperatore aveva fatto colloquiare le genti più lontane, le fedi più diverse, le culture più ricche e antiche.
Antiche, sì. Nella Murgia tutto è antico, il futuro stesso ha un cuore antico. Dovunque, ancora, nonostante il consumismo, nonostante la modernità, si annidano fiabe e miti, orchesse e streghe protagoniste di una pagane ritualità, feste e santi di una religione popolare, animistica, naturale: una religione del destino e del soccorso. Dovunque, nonostante il rumore assordante , si annida la musica, fatta di serenate e ninne-nanne, di canti d’amore perduto e di epiche lotte, di commozioni e di lutti di fronte al tempo che porta via la giovinezza e i nostri cari. Dovunque si annidano memorie, saperi che conservano l’aroma del grano e del mare, mestieri dell’astuzia e della mano, piccole comunità radicate ma piene di tratturi su cui, nei secoli, hanno camminato meticciamenti e ospitalità, insieme a transumanti, pastori, pellegrini e poeti cantastorie. I loro occhi erano ciechi e comunque non appannati da slides, web e cloud. Qunado guardavano, vedevano i cieli e non gli schermi. Le loro voci così erano più seducenti, malia per le orecchie, legami per i corpi. Tesori Umani Viventi, la tradizione orale li fa testimoni di una storia notturna , spesso emarginata, ma non meno pregnante di quella ufficiale.
Archivia è un Progetto culturale che li vuole omaggiare. Vuole raccogliere le loro voci come si raccolgono le erbe, conservare le loro storie come si conservano le marmellate, danzare le stesse danze, cantare gli stessi canti, mangiare gli stessi cibi ma in comune, in maniera conviviale. L’antropologia, la filologia, la ricerca sul campo saranno garanzia della loro autenticità e fedeltà al “geniu loci” e alla “mente locale”. L’arte sarà garanzia della loro eterna bellezza e universalità
Studiare, sperimentare, proteggere, difendere e vivere l’essenza delle culture enogastronomiche.
Proteggere, rivivere e restituire dignità alle campagne è la nostra esigenza imminente. Nel rispetto dei tempi, degli equilibri e delle relazioni appartenenti al sistema rurale vogliamo celebrarne la storia per riconnettere e legare il tessuto connettivo e collettivo di un territorio e spingerlo verso il suo futuro.
Il nostro approccio multidisciplinare ci permette di acquisire, analizzare e utilizzare dati per tradurli in informazioni che abbiano senso, sia nel contesto rurale in cui siamo calati sia nello spettro internazionale da cui avere un confronto virtuoso.
Esploriamo, mescoliamo, contaminiamo e connettiamo le dimensioni dell’arte e della storia (dalle fonti certe, passando per la leggenda fino ai gesti primordiali) e le applichiamo all’agricoltura e all’enogastronomia per ridisegnare nuovi modelli cognitivi e nuovi approcci per la costruzione dell’identità.
A.I.C.E.
Accademia è il luogo fisico e immateriale in cui avviene lo scambio delle conoscenze. Parliamo di scambio perché la “conoscenza” intesa come la facoltà di percepire e apprendere, viene scambiata reciprocamente tra tre soggetti protagonisti: chi crea le condizioni per l’apprendimento del patrimonio culturale attraverso diversi e sempre nuovi metodi e canali, chi ha il desiderio di immergersi in questo habitat provenendo dall’esterno, il luogo stesso in cui tutto questo avviene, ossia, il paesaggio, la natura, la fauna e la cultura del luogo.
Internazionale è il raggio d’azione di tutte le attività ed è la dimensione del contesto culturale e attuativo dell’Accademia. La ruralità che vogliamo proteggere e disseminare non può considerare confini geografici o culturali, la ricchezza è infatti sentirsi parte di un sistema che può valorizzare con il medesimo approccio ogni angolo del pianeta.
Le Culture Enogastronomiche sono la questione centrale. Non vi può essere enogastronomia senza cultura, ed è cultura tutto ciò che appartiene al patrimonio di un territorio e ne influenza l’essenza. I prodotti, la biodiversità, gli usi, i riti e i rituali legati alle tradizioni sono tutti elementi fondativi del patrimonio enogastronomico di ogni luogo.
Studiare, sperimentare, proteggere, difendere e vivere l’essenza delle culture enogastronomiche è un passo necessario, coraggioso e decisivo per la reale valorizzazione del territorio e dell’umanità.