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Kathryn Weir

Direttrice del Museo Madre di Napoli

Tricky Walsh, the Yearning, 2021. Pittura acrilica, carta, AR incorporata. Commissione per "Rethinking Nature". Fotografia di Amedeo Benestante. Courtesy l'artista
Buhlebeszwe Siwani, AmaHubo, 2018 Video digitale 13'01" Fotografia di Amedeo Benestante. Courtesy l'artista e Madragoa, Lisbona
Jota Mombaça e Iki Yos Pina Narvaez, Black El Dorado (we are the earthquake), 202. Carbone, pirite e video a due canali. Commissione per "Rethinking Nature". Courtesy gli artisti
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Vorrei parlare del contesto nel quale le pratiche artistiche collettive iniziano a svilupparsi molto di più, a partire dagli anni ’90 e soprattutto negli ultimi anni, facendo riferimento ad alcune esperienze nel sud Italia. Quest’anno anche Documenta 15 a Kassel in Germania, curata dal collettivo indonesiano ruangrupa, ha proposto un focus sulle pratiche collettive, progettate quasi tutte su spazi liminari-rurali-periferici. 

Abbiamo visto così il frutto di tante ricerche a cui numerosi artisti lavorano da tempo, ma con molta meno visibilità, mettendo al centro delle loro pratiche una riflessione su come fare arte con altri modi di produrre (alternativi all’idea di arte-oggetto), utilizzando forme espressive basate soprattutto sulla condivisione di saperi e la creazione di relazioni, in un contesto di decentramento dell’umano. 

Negli ultimi vent’anni in molti luoghi, soprattutto dove le strutture ufficiali artistiche sono scarse e non corrispondono ai bisogni delle comunità degli artisti, questi ultimi hanno fondato nuovi spazi per l’arte collaborando spesso in maniera interdisciplinare e hanno curato progettualità realizzando laboratori, scuole e portando avanti altre forme di interazione.

Io parlo dal punto di vista di un curatore/curatrice e mi chiedo come rispondere all’avanguardia di oggi, come continuare nella tradizione del modernismo europeo, non americano, che sviluppa determinate pratiche radicate in un certo luogo, in un certo contesto sociale, attraverso saperi situati ma che poi cercano un dialogo con altri luoghi e altre pratiche situate. La mia è quindi una riflessione connessa allo sviluppo di nuove pratiche che permettono di riflettere sulla percezione del mondo in cui viviamo e sul contesto in cui queste si realizzano.

Spesso questi progetti intervengono in spazi che sono al margine, fuori da quelli definiti come spazi per l’arte, nelle aree urbane o rurali o in centri fuori Europa o America. La collaborazione è al centro di queste pratiche per necessità, in quanto lavorando fuori dalle reti e strutture istituzionali c’è bisogno di creare in maniera collaborativa, sperimentare nuovi modi di praticare arte in spazi non precedentemente definiti.

In particolare vorrei parlare di un progetto, una piattaforma, che ho creato questi primi due anni come direttrice al Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina – Museo Madre: la mostra Rethinking Nature (17.12.2021 – 05.06.2022), che era interamente sul tema dell’ecologia politica con una serie di artisti, come Fernando García-Dory, che lavorano in diverse geografie. 

Ho preparato questa mostra in una modalità di lunga durata, creando come curatrice una rete di artisti e di pensieri critici e dando vita a Cosmopolis: progetto-esempio di come io volevo rispondere a queste nuove realtà, non solo scegliendo gli artisti per progetti definiti da me, ma entrando in dialogo con loro e con alcune dinamiche che potevano cambiare totalmente il format del risultato. La restituzione finale avrebbe potuto dunque essere una mostra come anche una programmazione nelle scuole, una performance o altro.

Cosmopolis è stato avviato nel 2015 al Centre Pompidou a Parigi, ma con l’idea di cambiare anche geografia per poter pensare le dinamiche e le questioni sollevate in dialogo con artisti, attivisti, teorici e critici, da diversi punti di vista.

Ci sono state finora quattro edizioni, due al Centre Pompidou che era il luogo di lancio, uno nel sud della Cina, a Chengdu, e uno infine nel sud Italia, con la rassegna Rethinking Nature al Museo Madre di Napoli. 

Per ogni edizione, con gli artisti e i teorici che mi hanno accompagnato abbiamo definito una tematica al centro della pratica degli artisti. La prima edizione, dal titolo Collective Intelligence [Cosmopolis #1: Collective Intelligence (18 ottobre – 18 dicembre 2017), Centre Pompidou, Parigi], verteva proprio sul bisogno di creare nuovi modi per esporre arte in gruppi collettivi. Qui il Centre Pompidou è diventato una sorta di scuola dove gli artisti – incluso il collettivo ruangrupa – hanno sottoposto diverse questioni. Ogni artista in mostra metteva sul tavolo una serie di argomenti di discussione e ogni giorno c’era l’intervento di un artista che apriva gruppi di lettura, discussioni, concetti e altre attività proposte dagli artisti stessi. 

Ancora, attraverso una serie di dibattiti si sono definite due questioni da sviluppare nelle edizioni successive: come aprirsi all’ecologia e all’intelligenza ecologica per decentrare l’umano, ma anche come riappropriarsi dell’intelligenza artificiale dal capitale del potere centrale. Queste due domande sono state al centro di Cosmopolis #1.5: Enlarged Intelligence (2 novembre 2018 – 6 gennaio 2019), che si è tenuta a Chengdu, dove ci sono state una serie di residenze nello spazio rurale e una collaborazione con Cao Minghao & Chen Jianjun, due artisti cinesi presenti anche nella mostra al Madre. Da 10 anni entrambi portano avanti delle pratiche molto particolari di collaborazione con una serie di persone, pescatori, agricoltori e pastori, lungo l’ecosistema definito da un fiume, rispondendo a domande, evidenziando criticità… Il lavoro che hanno presentato a Documenta è invece un progetto sull’altopiano del Tibet che si pone il problema di capire come, in un contesto di trasformazione tecnologica molto rapida, si possa pensare insieme tecnologia e spazio rurale.

Tutte queste discussioni hanno generato delle linee guida per la successiva edizione, che ha avuto luogo a Parigi nel 2019 [Cosmopolis #2: Rethinking the human (23 ottobre – 23 modelli di vita, riappropriandosi e aprendosi a varie forme di intelligenza, chiedendosi a quale livello di scala ci sarebbe più possibilità di portare avanti un progetto che abbia massa critica, come mettere in rete iniziative e come pensare in diversi contesti queste attività.

Al centro di Rethinking the human c’era la considerazione su come ripensare la storia dell’imperialismo europeo, come pensare la ruralità in Europa in un sistema internazionale e nel retaggio dell’estrattivismo europeo di ricchezza e risorse attraverso 500 anni di storia. Il titolo si riferiva al fatto che la maggior parte dell’umanità è stata messa fuori dallo stato giuridico dell’umano, per poter sviluppare le disuguaglianze strutturali nel sistema https://meet.google.com/ihv-qbdh-kwveconomico internazionale. 

In Rethinking Nature, allestita infine al Museo Madre di Napoli (7.12.2021- 05.06.2022), il tema principale è stato appunto come ripensare la natura, superando le modalità con cui i saperi europei e le scienze operano una divisione tra le varie discipline e si pongono in relazione alla natura stessa.

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