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ECOLOGIE DEL MARGINE - ECOLOGIES OF THE EDGE​

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Il 29-30 giugno 2022 hanno preso avvio le prime due giornate di confronto e riflessione sui temi che sviluppano il progetto Donnapaola Arts Farm – e più nello specifico – il progetto di creazione di un Centro per l’arte e la biodiversità ambientale – con l’obiettivo di far emergere, sostenere e sviluppare progetti e ricerca artistica in relazione con il pensiero neo-ecologico.  Una struttura di alta formazione, basata su metodi didattici laboratoriali (workshops e residenze) che coinvolgeranno artisti ospiti e giovani artisti nella costruzione di percorsi di conoscenza condivisa.  Pur radicato sul territorio dell’Alta Murgia, il progetto non è mosso però da una prospettiva localistica, ma guarda con attenzione alle pratiche artistiche che in differenti contesti geopolitici si stanno facendo portatrici di una diversa sensibilità. 

Nell’arco delle due giornate sono intervenuti i componenti del comitato scientifico di Donnapaola Arts Farm e alcuni artisti e studiosi invitati a dialogare, facendo emergere esperienze e saperi interdisciplinari necessari nel concorrere alla formazione di un nuovo immaginario che possa trovare alleanze alternative e sovvertire quei paradigmi antropocentrici da cui deriva la logica di dominio sulla natura e di tutte le forme minoritarie di esistenza. Ma come poterne fare pratica? 

Seguono gli interventi dei due curatori che hanno ideato e sviluppato Ecologie del Margine, seminario di due giorni a Donnapaola Arts Farm.

Antonella Marino 

(direzione artista di Donnapaola Arts Farm)

Il seminario è stato occasione di confronto e di brainstorming con il comitato scientifico internazionale di Donnapaola Arts Farm, per immaginare insieme le linee future di questo progetto, in rapporto con una rete locale e nazionale di soggetti. 

Puntando sulla capacità dell’arte di creare nuovi immaginari e sovvertire gli ordini costituiti, la scommessa è di sperimentare nuove modalità per abitare e riattivare questi territori, valorizzare le loro risorse anche attraverso il ripensamento creativo delle tradizioni rurali. 

l titolo del simposio “Ecologie del margine”, parte così da un’interrogazione sul concetto di margine, nelle sue problematiche declinazioni. La marginalità in questo caso non è però intesa in un’accezione negativa. Più che come bordo estremo, appendice geografica di un centro che incarna il modello produttivo dominante, i territori ai margini sono visti come realtà interstiziali, filtro di incontri e ibridazioni tra differenti ecosistemi e, in quanto tali, espressione stessa di un’idea di bio-diversità. Questo ribaltamento dello sguardo trasforma la debolezza apparente dei territori “ai margini” (come le aree interne dell’alta Murgia e in generale l’area del Mediterraneo, il Mezzogiorno e i tanti “Sud” del mondo, intesi come accezione mentale più che geografica) in un “vantaggio competitivo”, per dirla con le parole del sociologo Franco Cassano.  Laboratori per un ripensamento delle forme di modernizzazione, che possono generare possibilità alternative, nuove istanze e modelli di sviluppo

Alla messa a punto di una nuova “Agenda rurale” è stato dedicato in particolare il primo panel del seminario, che focalizza l’attenzione su nuove pratiche artistiche ecosostenibili in cui l’interesse per il mondo rurale si coniuga spesso con l’attivismo politico, in una prospettiva agro-ecologica. Come sappiamo l’agroecologia parte dal recupero di esperienze di agricoltura tradizionale che hanno mostrato la capacità di mantenere integri gli ecosistemi, denunciando i limiti e le responsabilità del modello agricolo industriale, negli squilibri ambientali del pianeta. Il processo di ri-contadinizzazione in corso in diverse aree del pianeta (v, nuovi movimenti contadini in Africa, Asia o America Latina) esprime l’esigenza di riappropriazione del processo produttivo da parte dei suoi protagonisti. Ciò sta portando alla “riscoperta” e riabilitazione di conoscenze contadine che per decenni sono rimaste marginali. Di fronte alla crisi ecologica in atto, la cultura rurale può insegnare come adattarsi a un luogo, e porre le basi per la costruzione di “economie morali” di tipo nuovo, basate su reazioni sociali solidali e su un rapporto di cooperazione piuttosto che di mera appropriazione. A queste esperienze partecipano negli ultimi anni molti artisti, di cui al convegno abbiamo visto alcuni esempi, che con le loro pratiche portano avanti sui diversi territori esperimenti di produzione agricola basati sull’auto-sostenibilità e capaci spesso di generare economie alternative. Portatori di un pensiero ecologico che va declinato al plurale: in senso non solo ambientale, ma anche psicologico e sociale, come chiave di approccio alla complessità del reale.

Ciò tira in ballo concezioni più generali dell’economia, della società e del rapporto tra l’uomo e il resto della natura. A questo si collega il tema del secondo panel, “Politiche dell’abbandono”. Anche in questo caso l’abbandono va interpretato non tanto in senso letterale (con riferimento ad esempio all’emergenza diffusa dell’abbandono delle terre), bensì in modo figurato: come “abbandono” appunto dell’idea classica di controllo sulla natura, che parte dal riconoscimento della mutua interdipendenza tra ecosistemi. Percepire l’interdipendenza che lega tutti gli enti e le cose è ciò che il filosofo Timothy Morton definisce “pensiero ecologico”. 

Come abbiamo visto da questi primi incontri, e come approfondiremo nel lungo percorso di Donnapaola Arts Farm, facendo luce sulle forme di interconnessione, molti artisti stanno contribuendo a promuovere una serie di processi culturali e politici in grado di “ripensare collettivamente i fondamenti etici dell’esistenza” (K.Weir), intesa appunto come “coesistenza di tutte le forme di vita”. 

Marco Scotini

(curatore del Centro per l’Arte e la Biodiversità Ambientale di Donnapaola Arts Farm)

Donnapaola Arts Farm si pone quasi come un’utopia. È un progetto che offre più di una possibilità:

da una parte si propone come un’istituzione, dall’altra più che un progetto artistico rappresenta una visione. 

Il seminario ‘Ecologie del margine’ richiama nel titolo la realtà molto interessante che ci ospita: già qui siamo in un margine, un margine dell’Italia e al tempo stesso un margine più fisico, il rapporto tra il mare e le Murge. L’Italia offre nel suo percorso alcune esperienze artistiche significative: pensiamo agli importanti interventi di Joseph Beuys in Abruzzo, nella tenuta agricola di Lucrezia De Domizio e Bubi Durini. Ciò conferma che proprio dal “margine”, da questo sud italiano, possono nascere e svilupparsi episodi che hanno rilevanza internazionale. 

Tuttavia il concetto di margine ha anche un’accezione diversa, che proveremo ad approfondire con i guests invitati per questa occasione. Guests che da anni coltivano un rapporto con una dimensione ecologica che intende fare i conti con un sistema espropriativo. Molti di noi hanno cominciato a lavorare su queste tematiche anche da più di 20 anni. Io stesso con il progetto ‘Dopopaesaggio’ in Toscana nel ’98; Lorenzo Romito di Stalker, che negli anni Novanta inaugurava un percorso di attenzione all’urbano totalmente carico di potenziali ecologisti; Wapke Freenza con Myillages… In generale, tutti i nostri relatori appartengono ad una modalità ‘resistenziale’ rispetto al trend ecologico corrente, ed esprimono il bisogno di mettere in campo ulteriori energie comprovate come verifica dei poteri e dell’esperienza.

Il focus di Ecologie del Margine è infatti la messa in discussione dei saperi e in particolare del nostro sapere occidentale. Se vogliamo fare i conti con un pensiero ecologista, con un’ecologia politica, è doveroso sottolineare questo. Altrimenti apparteniamo a quell’ennesimo trend estrattivo di immaginari e di economia esemplificato dalla green economy. Estensione della macchina capitalista che da un lato si nutre di immaginari naif, dall’altro continua la propria perversione attraverso il discorso “catastrofista”. Di fronte a questa realtà non c’è arte che tenga, è possibile solo un’arte “politica”. Questa è una strada che non passa, o passa solo tangenzialmente, nel sistema dell’arte. Credo che il compito principale dell’arte oggi sia cercare la costruzione di nuovi immaginari, perché ne abbiamo davvero bisogno. Da qualche anno sempre più stiamo facendo esperienza diretta della crisi climatica e ambientale. Se vogliamo intervenire attraverso l’arte, dobbiamo lavorare su altri dispositivi, appunto sui saperi. 

La dimensione del margine ha a che fare dunque con un’ipotesi ecologista di natura diversa. Esplicativa può esserne un’opera dell’artista slovena Marjetica Potrč, “Rural house”, che ho portato alla Biennale di Yinchuan nel 2018 e che mette in evidenza un assetto rurale tipicamente cinese e un assetto nomadico tipicamente mongolo, o delle praterie o del deserto dello Xinian. La casetta era un caso che avevamo trovato nelle campagne cinesi, e con adattamenti, abbiamo ricostruito per la Biennale. La casa è fatta con mattoni di sabbia del deserto e foglie di riso essiccate: quando la popolazione decide di lasciare l’insediamento la casa torna sabbia, torna deserto e non lascia tracce. Questa piccola unità abitativa ci sembrava interessante come forma ibridata tra un insediamento rurale e il sistema nomadico con cui si incrociava. 

Questo è uno degli esempi, di come poter uscire da un’idea di ruralità che si è fondata sulla  geometria, sulla proprietà e poi su un’idea di stato o su quella che Felix Guattari chiama ‘scienza di stato’ (che noi identifichiamo come scienza tout-court) e l’idea nomade di abitare totalmente differente…A partire da questo environment del bordo cinese ho capito che dobbiamo abbandonare qualsiasi idea di natura, perché adesso la posta in gioco di un’ecologia declinata al plurale (Guattari parla di “tre ecologie”, ambientale, psichica e sociale) è il pensiero di una mutua interdipendenza reciproca delle cose che possa diventare un nuovo fondamento da cui ripartire.

Le due giornate del seminario sono state divise in due parti, una dedicata al ‘rurale’ e l’altra all’abbandono”, che devono essere mantenute in un’osmosi costante. In questa chiave ripensare la terra significa anche ripensare la dimensione del lavoro, come ha sottolineato la scrittrice Maria Rosa Dalla Costa. Bisogna ricordare che la modernità scopre ad un certo punto la non remunerazione del lavoro femminile. Il passo successivo è stato per noi scoprire la non remunerazione della terra, che continuiamo a far lavorare senza avere nessuna idea del valore del lavoro che la terra compie, così come del lavoro produttivo e riproduttivo che la donna compie all’interno di dinamiche capitaliste. Non possiamo pertanto pensare un rapporto con natura se non pensando anche ad un rapporto con il genere, con l’economia, con il socius o con la mitologia e con tutti i saperi che la cultura occidentale ha rimosso. È necessario che i saperi comincino a vedere l’ecologia come un paradigma e non solo come una questione ambientale. Forse ciò richiederà troppo tempo, forse siamo troppo in ritardo su tutto. Ma come dico sempre: “Sono nato razionalista e morirò ecologista”.

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